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martedì 18 giugno 2019

Decreto sicurezza, ora i mafiosi potranno ricomprarsi i beni confiscati

È sufficiente fare la voce grossa con i migranti, trasformati in un’emergenza che non c’è e in un capro espiatorio, e fingere che non esistano altri problemi per la sicurezza degli italiani. Così il ministro dell’Interno Matteo Salvini – leader della Lega di ultradestra e (vice)premier – è riuscito a fare approvare anche dai pentastellati il suo Decreto sicurezza: il Senato gli ha già dato ragione; presto toccherà alla Camera, pare il 23 novembre. Intanto Salvini con quel decreto ha fatto scomparire per magia un’emergenza vera, quella rappresentata dalle mafie italiane. Eppure queste possono contare, ogni anno, su circa 150 miliardi di ricavi e, a fronte di poco più di 35 miliardi di costi, su utili per oltre 100 miliardi. Roba da fare invidia ai colossi europei dell’energia.

Andiamo per punti. Prima di tutto, Salvini nel decreto non si occupa delle cosche, perché evidentemente non ritiene che minaccino la sicurezza. D’altra parte, da qualche anno, i mafiosi non fanno stragi, sanno come votare, cercano di passare inosservati. Quindi non ci rendono “insicuri”. Pertanto – siccome un decreto legge si fa quando ci sono i presupposti di necessità e urgenza – non citare i boss significa considerarli un problema secondario. Al contrario, chi vive nei territori in cui questi incombono è ben consapevole del fatto che sono al lavoro, eccome. Silenziosamente le mafie riciclano – corrompendo chi è necessario corrompere – centinaia e centinaia di milioni nel cuore delle città d’Italia e d’Europa: acquistano ristoranti, negozi, hotel, palazzi, farmacie, imprese. Indisturbate o quasi, nonostante alcune inchieste e processi in corso nel Nord della Penisola, un tempo caro alla vecchia Lega, mostrino quanto siano in forma pure a quelle latitudini.

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