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venerdì 26 luglio 2019

Bimbo autistico di 11 anni rifiutato dalla famiglia: «Non lo vogliono più»

Una storia tragica, di disperazione e solitudine, che gli operatori di Casa Sebastiano, una struttura all’avanguardia per l’autismo, hanno voluto rendere pubblica

Una telefonata drammatica, «uno schiaffo che toglie il fiato» come la descrivono gli operatori di Casa Sebastiano, in Trentino. Dall’altra parte del telefono un assistente sociale di un’altra regione: «Dobbiamo trovare una sistemazione per un bimbo di 11 anni con diagnosi di autismo. La famiglia non lo vuole più».
La vicenda
La tragica vicenda riguarda infatti un bambino autistico rifiutato dalla sua famiglia e affidato al Tribunale dei Minori. Una storia tragica, di disperazione e solitudine, che gli operatori di Casa Sebastiano, una struttura all’avanguardia per l’autismo a Coredo (in provincia di Trento) hanno voluto rendere pubblica .
Una telefonata diversa dal solito
«È la norma per il nostro centro: centinaia di telefonate, da quando abbiamo inaugurato Casa Sebastiano appena due anni fa, da tutta Italia e da italiani all’estero, operatori e famiglie, alla ricerca di informazioni, risposte, servizi, di un’opportunità, di un futuro migliore», scrivono gli operatori sul portale della Fondazione trentina per l’autismo.
«La famiglia non lo vuole più»
Ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Una frase: «La famiglia non lo vuole più». «Credevamo di non aver capito», dicono gli operatori. Da lì la prima reazione: «O sono disgraziati o sono disperati», scrivono dalla Fondazione. «In ogni caso abbiamo fallito. Le istituzioni hanno fallito, la società ha fallito». Come sottolineano da Casa Sebastiano, «è mancato il supporto delle Istituzioni, i servizi, l’aiuto necessari a che un bambino e i suoi genitori possano affrontare insieme la drammaticità di una disabilità dura, a volte durissima. È venuto meno il patto di aiuto ai deboli, il mandato etico, ancor prima che costituzionale, fondamento di ogni società che voglia dirsi civile, di sostegno ai componenti più fragili delle nostre comunità».

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