E’ del tutto comprensibile la tentazione di molti di approvare la norma contro i vitalizi dei parlamentari. Sappiamo tutti che, sul piano economico, la manovra (con i pretesi 40 milioni di risparmio) è semplicemente ininfluente, ma il vero effetto è quello di punire la classe politica strappandole un privilegio deciso in altri tempi.
Quei vitalizi stabilivano un trattamento ingiustamente preferenziale verso i politici (le cui indennità non erano tassabili ma erano pensionabili!), poi le cose sono cambiate un po’ alla volta, ma molti degli attuali vitalizi nacquero sotto la stella del privilegio di casta. Questo è vero, come è vero che la classe politica merita d’essere bastonata per il mono indecente con cui ha gestito la cosa pubblica.
Sin qui ci siamo e questo spiega la simpatia che la misura riscuote presso il grande pubblico, così come la riscuote anche l’altra manovre in preparazione: quella sulle pensioni d’oro cioè da 5.000 euro in su. Ma si tratta di due polpette avvelenate che dobbiamo rimandare indietro.
Partiamo dall’inizio. Sono ormai diversi anni che alcuni economisti, ovviamente di fede neo liberista, sostengono che, per riequilibrare i bilanci dello Stato occorra fare tagli in particolare alla spesa pensionistica e che, per fare ciò, non basti ridurre la retribuzione di chi andrà in pensione, ma occorra ridurre l’importo di chi è già in pensione. In particolare, c’è chi sostiene che si debba ricalcolare sulla base del metodo contributivo le pensioni di quelli che hanno una pensione calcolata sulla base del vecchio sistema retributivo. In soldoni: ridurre le pensioni di un buon 15% (altro che superare la Fornero!).
Ma, sulla strada di questo simpatico progettino c’è un fastidioso principio giuridico che si chiama “diritti acquisiti” (lo stesso contro cui andò a schiantarsi Renzi con la sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2015, relatrice Silvana Sciarra).
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