Serravalle Scrivia è una cittadina in provincia di Alessandria,
conosciuta principalmente per il suo outlet, il più grande d'Europa.
A
poco meno di un chilometro da lì spicca quel che resta dell'Ecolibarna,
un'azienda di smaltimento di rifiuti tossici che ha trasformato questa
zona fra Tortona e Genova nella "terra dei fuochi piemontese."
Aperta nel 1983 e
chiusa due anni dopo per "sospetto di inquinamento," l'Ecolibarna si occupava di smaltire i rifiuti industriali e tossici,
anche se in realtà si limitava a stoccarli e abbandonarli nei pressi dello stabilimento, o in
discariche abusive lungo il torrente Scrivia.
Nel 2003,
con un decreto,
il ministero dell'Ambiente dichiara "sito di interesse nazionale"
un'area di circa 70.000 mq che comprende l'insediamento industriale e le
aree a valle, fino alla sponda del Torrente Scrivia, ospitando migliaia
di metri quadrati contaminati da melme acide e due discariche abusive
piene di rifiuti tossici.
Come nella terra dei fuochi campana,
anche qui tutto ruota intorno a un'azienda che, dietro una facciata
legale, organizzava trasporti clandestini di sostanze nocive per poi
scaricare tutto in fiumi o cave abbandonate.
Con una differenza importante però: mentre in Campania la situazione è
rimasta sconosciuta fino alla metà degli anni Novanta, la
storia dell'Ecolibarna invece è conosciuta da tutti sin dal 1986, quando il comune di Serravalle Scrivia riuscì a far chiudere l'azienda.
Eppure una vera e propria bonifica non è mai stata fatta.
Cos'è l'Ecolibarna
Per capire come un tranquillo paese piemontese si sia ritrovato dei
rifiuti tossici in casa, occorre tornare indietro di molti decenni: tra
il 1940 e il 1980 la zona dell'Ecolibarna era infatti occupata da una
raffineria di oli lubrificanti, la Gastaldi Oli, anch'essa accusata di
inquinamento ambientale.
"Quella fabbrica ha cambiato diversi nomi
ma è sempre stata un problema," racconta Gianluigi Gandini del comitato
Bonifica Ecolibarna a VICE News. La Gastaldi, dice, "si spacciava come
azienda autorizzata a smaltire rifiuti tossici e nocivi delle attività
industriali, senza però esserlo. Abbiamo scoperto che gettavano liquidi
inquinanti nel Rio Negraro, un fiume che va a finire nello Scrivia, da
dove si prende l'acqua potabile per circa 200mila persone."
Continua
qui