Una cronista de «La Stampa» si è finta una 25enne straniera in cerca di un posto come colf:
il suo cellulare preso d’assalto da uomini a caccia d’avventure. Nessun contatto quando
si è presentata come maschio.
FLAVIA AMABILE
Roma
Sono una donna un po’ disperata, ho bisogno di lavorare. Potrei essere una studentessa non bambocciona che vuole pagarsi la stanza in affitto facendo le pulizie o la baby-sitter, oppure potrei essere una qualsiasi giovane straniera, una delle tante che entrano poi nelle case delle famiglie italiane a dare una mano. Ma potrei anche essere una donna più matura che per uno dei mille motivi di una società in crisi abbia bisogno di trovare un lavoro rapidamente e non abbia altre competenze se non il saper crescere figli o pulire un pavimento. Nulla di male, sono lavori anche questi, eppure quello che una donna in difficoltà incontra lungo il proprio cammino è un percorso pieno di lusinghe, offerte di mondi incantati o inferni, voci suadenti, allusive, ma anche video porno nella casella di posta elettronica, sms nauseanti fin dalla prima parola.Il primo annuncio ha la stessa percentuale di ammiccamento degli elenchi telefonici. Si parla di una ragazza di 25 anni, straniera, con ottima padronanza della lingua italiana che cerca lavoro come baby sitter o come colf. Aspetto fisico? Nemmeno lontanamente citato. Riferimenti a una disponibilità a fare qualcosa di più di occuparsi di bambini o delle pulizie? Nemmeno a livello subliminale, sembrerebbe. E invece basta pubblicare queste parole su un frequentatissimo giornale di annunci nell’Italia del 2012 per scatenare pulsioni degne di un bordello di quart’ordine o immaginare chissà quali propensioni da parte della povera venticinquenne. E’ metà febbraio quando invio la richiesta di lavoro a «Porta Portese»: da quel momento per il mio telefonino non c’è più pace e non è l’idea della straniera a suscitare tanto interesse. Più primordialmente basta che si tratti di una donna.
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