Stato d’emergenza a Tripoli, proclamato dal premier Serraj, fragile alleato dell’Italia in Libia, in seguito a scontri tra le milizie, che hanno determinato una quarantina di morti e che vedono l’epicentro nei territori che vanno dalla zona sud della città all’aeroporto di Mitiga.
Formalmente, preoccupazione è stata espressa oltre che da Roma, anche dalle Nazioni Unite, dalla Francia, dagli Usa e dalla Gran Bretagna. Ma ciascuno gioca una partita differente.
Quel che è certo è che la nostra alleanza con Serraj ci costa parecchio. Le brigate che hanno proclamato l’attacco a Tripoli, per liberarla dalle milizie corrotte, alleate del premier, sono probabilmente quelle che ieri hanno mancato di poco l’ambasciata italiana con un colpo di mortaio.
Quel che è certo è che la nostra alleanza con Serraj ci costa parecchio. Le brigate che hanno proclamato l’attacco a Tripoli, per liberarla dalle milizie corrotte, alleate del premier, sono probabilmente quelle che ieri hanno mancato di poco l’ambasciata italiana con un colpo di mortaio.
Solo una bega interna tra milizie oppure, dietro il paravento dello scontro locale, si cela una guerra per procura delle potenze straniere? Quello che è certo è che riesce difficile raccapezzarcisi, tra i fedelissimi di Serraj, oppure quelli della lontana, ma non troppo, Cirenaica del governo Haftar a Bengasi; per non parlare del fatto che pare si siano messe in gioco pure le enigmatiche milizie di Misurata, potentissime militarmente, ma non sempre esplicite nella scelta dei loro alleati. Tanto è vero che lo stesso Macron fatica, o per lo meno ha faticato finora, nell’accaparrarsene i favori per il suo funambolico progetto di elezioni in tempo di guerra, che vorrebbe realizzare a dicembre.