Allo scoccare dei suoi cento anni, l'Aula di Montecitorio si svela desolatamente vuota. Di persone, di leggi, di vita. Implacabili le statistiche: due provvedimenti nei primi cento giorni di governo, dieci sedute al mese. Ed è solo la punta dell'iceberg di una centralità perduta
È la legislatura più inoperosa della storia. Alla Camera ci sono rimasti i fantasmi
Siamo arrivati, cent’anni dopo, al bivacco sui divanetti. Fuori dall’Aula - più o meno sorda e grigia - direttamente fuori. Ma che ci fosse un difetto originario di prospettiva, un pervicace torcersi delle cose nel loro opposto, poteva essere chiaro fin dall’inizio. Quando, inaugurando la nuova Aula della Camera, il 20 novembre 1918, Giuseppe Marcora, presidente della Camera dei deputati del Regno d’Italia, cominciò il suo discorso «Per la vittoria», conquistata due settimane prima nella Prima guerra mondiale, con queste parole: «Onorevoli colleghi, l’Italia è compiuta». Complimenti per la previsione. Quel giorno, raccontano le cronache dell’epoca, anche le tribune in cima all’Aula erano piene fino all’orlo. Rappresentanti dei mutilati di guerra, delle terre redente, gente comune in attesa per ore per assistere all’evento. Cent’anni dopo, Montecitorio, pur avendo in teoria nell’era giallo-verde forse più senso che mai, si ritrova di fatto svuotato: di persone, di leggi, si direbbe di vita.
I deputati si aggirano come sperduti in corridoi rimbombanti. Le statistiche hanno detto che i più assidui sono 90. Il simbolo di questa epoca può essere il velista Andrea Mura: eletto con i Cinque Stelle, in piena estate ha chiarito essere più utile fuori del Parlamento che dentro. Una Camera zombie. Dove capitano settimane nelle quali non si sappia cosa scrivere sugli ordini del giorno (esempio: la terza di luglio. Altro esempio: la terza di settembre). Le statistiche dicono infatti che questo è il Parlamento più inoperoso della storia repubblicana: e lo è, per paradossale che possa sembrare, nel momento in cui a conquistare la maggioranza è proprio un movimento che predicava di aprire i Palazzi come «una scatoletta di tonno».
I numeri sono implacabili: due leggi votate nei primi cento giorni del governo, il decreto dignità e il mille proroghe, sedute al ritmo di dieci al mese (67 tra metà marzo a metà ottobre, i dati più recenti), 15 leggi definitivamente approvate, di cui 9 conversioni di decreti legge. Ma forse, anche viste e considerate le circostanze eccezionali di quest’avvio di legislatura (quasi novanta giorni senza governo) vi è anche da dire come quest’esiguità sia forse solo la punta dell’iceberg - per un universo che più che mole di numeri sembra aver perso centralità .
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