Il caso La multinazionale: ha deciso di andarsene. «No, mi hanno costretta»
Critiche all' azienda online «Licenziata per Facebook»
Maledetto Facebook. A Sara Amlesù, 36 anni, milanese, il social network più diffuso al mondo ha rovinato la vita. Lo racconta in un' email inviata al Corriere della Sera, dove rimpiange la sua leggerezza: «Per sette anni ho lavorato in una multinazionale. Poi ho fatto una stupidata - scrive -. Ho creato su Facebook il gruppo "Noi poveri sfigati che lavoriamo in Danieli". Quando i vertici dell' azienda l' hanno scoperto, sono stata costretta ad andarmene». Errori che si ripetono, storie di web 2.0 che s' inseguono per mezzo mondo: «Adesso non voglio che altri commettano il mio sbaglio». Scrivania addio. La sua storia ricorda quella Kimberley Swann, la teenager inglese che ha definito noioso il proprio lavoro, scrivendolo sulla propria pagina di Facebook senza immaginare le conseguenze del suo gesto. La bacheca di Sara Amlesù è ancora visibile: «Se anche tu, come me, ti svegli al mattino pensando... No, anche oggi in Danieli/ Se anche tu, come me, quando conosci un friulano o un genovese non puoi fare a meno di pensare mal comune mezzo gaudio/ Se anche tu, come me, dopo una giornata in Danieli sogni il barettino a Santo Domingo/ Se anche tu, come me, ringrazi la Danieli solo per gli amici/ Sei il benvenuto». Cinque frasi su Facebook, una lettera che fa concludere un rapporto di lavoro con l' azienda leader nella produzione di forni industriali per la lavorazione dell' acciaio. Dalla sua borsa esce il romanzo di Matt Haig il «Club dei Padri Estinti», in mano ha il foglio datato 22 aprile 2009 che ha messo la parola fine alla sua esperienza in Danieli (cominciata il 21 maggio 2002). Sul web la Amlesù aveva già creato un gruppo per riunire i volontari come lei dell' associazione la Curiera, onlus per ragazzi disabili. Quello intitolato «Noi poveri sfigati che lavoriamo in Danieli» le è costato caro. «L' ho creato per sentirmi simpatica e fare amicizia con i colleghi che lavorano nelle altre città d' Italia, Udine e Genova - spiega -. Non voleva essere offensivo. Eppure mi è crollato il mondo addosso: in dieci minuti ho visto finire la mia carriera. E per che cosa? Per Facebook». Sara Amlesù non nasconde la sua amarezza: «È stato un fallimento: mi ritrovo ora a 36 anni senza un lavoro, con la consapevolezza che per leggerezza ho buttato la mia vita. Lo dico perché altri non commettano lo stesso errore, perché io ho pagato per tutti». Resta il fatto che, comunque, la donna ha firmato la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro: «Con la sottoscrizione della presente - si legge - la sig.ra Amlesù dichiara di non avere più nulla a pretendere che possa trovare origine e/o fondamento nel rapporto di lavoro e rinuncia espressamente a ogni ulteriore diritto». Eppure, a un mese dal suo ultimo giorno in Danieli, Sara non riesce ancora a parlare senza usare intercalari del tipo: «I miei colleghi, nella mia azienda, il mio capo...». Con il pensiero è ancora lì. Simona Ravizza sravizza@corriere.it Incerti del web Il social network Facebook è il social network più diffuso nel mondo I problemi Quella di Sara Amlesù (nella foto) è solo una delle storie che si rincorrono per mezzo mondo. Sempre più i dipendenti che hanno avuto problemi per il suo utilizzo: da chi è stato licenziato per avere criticato l' azienda, agli infermieri che hanno messo online foto di pazienti.
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