Roma
«Non abbiamo più voce per fare appelli: sono due anni che gridiamo
più o meno nel deserto» protesta Achille Variati, sindaco di Vicenza e
presidente dell’Unione delle province italiane. L’Upi ha manifestato a
Roma a metà maggio, poi a ridosso della festa della Repubblica ha
scritto al presidente Mattarella. Messaggio semplice e chiaro: senza le
risorse necessarie a breve non saremo più in grado di garantire i
servizi essenziali che ci competono come scuole, strade e ambiente. I
numeri parlano chiaro: alle Province è stato tolto un miliardo di euro
nel 2015 ed un altro miliardo nel 2016. Per il 2017, visto che la loro
abolizione col no al referendum alla fine non è andata in porto, il
taglio è stato azzerato, ma all’appello mancano almeno 650 milioni per
la sola copertura della spesa corrente delle funzioni fondamentali.
Degli oltre 2 miliardi di euro di tasse automobilistiche appena 360
milioni tornano ai territori e non parliamo poi degli investimenti,
scesi del 62% tra il 2013 e il 2016 a un miliardo e poco più. FOTOGRAFIA DELLO SFASCIO
Eppure a carico delle Province, che nel frattempo han perso 20mila dipendenti, sono rimasti pur sempre 5.179 edifici scolastici (70% senza certificato di prevenzione incendi), ben 130mila chilometri di strade e almeno 30mila tra ponti, viadotti e gallerie. In base alle rilevazioni dell’Upi già oggi circa 5.000 chilometri di arterie sono chiuse per frane, crolli o smottamenti e su almeno il 52% della rete gli enti sono stati costretti ad inserire un limite di velocità di 30 o 50 chilometri all’ora motivando ragioni di sicurezza. Interventi disperati che in alcuni casi adesso sono impediti perché le amministrazioni non sono nemmeno più in grado di sostenere i costi della segnaletica che si renderebbe necessaria.
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