L'economista Daveri: "Se c'è un aumento di costi che riescono a
scaricare sui clienti, le banche continuano a prestare. Se, invece,
stabiliscono che non è un buon momento, allora ci potrebbe essere una
restrizione del credito"
La
crisi politica ha innescato un meccanismo a catena che mieterà le
prime vittime nell’
economia reale, fatta di imprese, banche e consumatori. “Con l’innalzamento dello spread è aumentato il
costo per finanziarsi di aziende e istituti di credito”, spiega
Francesco Daveri, professore di macroeconomia alla
SDA Bocconi di Milano. “L’aumento dei
tassi d’interesse che viene richiesto dagli investitori per comprare titoli pubblici italiani
si riflette infatti anche sul settore privato: aziende e banche, che vogliono finanziarsi sul mercato, sono costrette ad
aumentare i tassi
a cui loro offrono le loro obbligazioni”, precisa Daveri. In pratica,
se l’Italia è percepita come più rischiosa, gli investitori chiedono di
guadagnare di più sui prestiti per compensare la maggiore probabilità di default. Così accade che, come spiega Daveri, “le
imprese che vogliono finanziarsi per investire pagano un
aggravio di costo d’interesse” e che “lo stesso accade anche per le
banche che si rivolgono al mercato interbancario”.
Questo spiega in parte il motivo per cui gli investitori hanno deciso
di disfarsi a piene mani delle azioni del settore bancario italiano in
Borsa. Ma ci sono anche altre ragioni. “Innanzitutto gli istituti di
credito hanno in pancia molti
titoli pubblici. Quindi
se per caso il mercato ritiene più probabile un default, allora questi
titoli valgono di meno”, aggiunge. L’impatto di questa situazione sui
bilanci bancari non è però prevedibile perché gli istituti di credito
potrebbero “scaricare l’aggravio di costi sui clienti in vari modo
magari facendo pagare di più i
mutui o nascondendolo da qualche altra parte nei costi di
gestione dei conti correnti”.
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