Tra negligenze e nepotismo la Procura scopre l’edilizia “alla Checco Zalone”
inviato ad Andora (Savona)
I faldoni sulla frana di Andora, che due anni fa travolse
l’Intercity Milano-Ventimiglia e avrebbe potuto uccidere i 200
passeggeri se un costone di roccia non l’avesse bloccato a pochi
centimetri dalla scarpata, sono più di un’inchiesta penale chiusa con
cinque indagati.
Raccontano un piccolo e tragicomico romanzo criminale
di nefandezze, tracotanze, furberie, ignavie, incompetenze e negligenze
ordito da un campionario provinciale di padroncini, mezzemaniche,
politici, geometri, palazzinari.
U
na trama degna di Checco Zalone. E non è finita, perché solo
nel raggio di un chilometro la Procura ha mappato altri cinquanta
immobili a ridosso della ferrovia, abusivi e pericolosi come il
parcheggio crollato due anni fa.
Il romanzo comincia nel 1962, quando la Riviera ligure si riempie di
seconde case, ma entra nel vivo trent’anni dopo, quando Vincenzo Di
Troia, industriale milanese e proprietario di una delle palazzine vista
mare, chiede al Comune di Andora di trasformare in parcheggio un
terrapieno sostenuto da un muretto di pietre a secco (questi pendii ne
sono pieni, opera millenaria di sapienti contadini).
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