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lunedì 26 dicembre 2011

Giorgio Bocca, cronista dell'Italia liberata dalla Resistenza al nuovo millennio

Comandante in GL, dopo la guerra rifiutò incarichi politici per fare il giornalista. Prima alla Gazzetta del Popolo, poi all'Europeo, al Giorno, fino all'avventura di Repubblica con Scalfari. Testimone attento e scomodo di oltre sessant'anni di storia italiana di FABRIZIO RAVELLI

"NELL'ITALIA liberata prima ci disarmarono, parlo di noi partigiani, e poi ci chiesero di tenere in qualche modo in piedi la baracca dello Stato. A me, che avevo comandato una divisione di Giustizia e Libertà, offrirono, a scelta, un posto da vicequestore o da sindaco. Dissi che preferivo un posto da giornalista a GL, l'edizione torinese di Italia Libera, il quotidiano del Partito d'Azione a Torino". Nel fiume sterminato della vita professionale di Giorgio Bocca è raro trovare lezioni di uno che si impanca a maestro di giornalismo. C'è questo momento fondamentale: il partigiano Bocca che, deposte a forza le armi, decide che per "tenere in piedi la baracca" c'era di meglio che buttarsi in politica. C'era da raccontare un Paese, da viaggiare e riferire, da incontrare gente e interrogarsi. 


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