Sono a dir poco impressionanti e clamorose le dichiarazioni, di Tom Jefferson, medico al Center for Evidence-Based Medicine (Cebm) presso l'Università di Oxford e pubblicate dal quotidiano inglese "The Telegraph": il medico sostiene che ci siano prove sempre più consistenti che il virus fosse già presente altrove, ben prima che emergesse a Wuhan, forse già da anni. Quindi, altro che Cina, altro che mercato del pesce o errore di laboratorio.
Come riportato dal quotidiano "Il Sole 24 ore" nella sua versione online (qui l'articolo), tale teoria farebbe saltare tutto ciò che sappiamo fino a oggi su questa pandemia che continua a terrorizzare il mondo. E proprio queste tesi potrebbero avere delle conseguenze stravolgenti.
Come riportato dal quotidiano "Il Sole 24 ore" nella sua versione online (qui l'articolo), tale teoria farebbe saltare tutto ciò che sappiamo fino a oggi su questa pandemia che continua a terrorizzare il mondo. E proprio queste tesi potrebbero avere delle conseguenze stravolgenti.
Abbiamo già affrontato il capitolo che afferma come il coronavirus fosse presente già dallo scorso autunno anche in Italia come confermato dalle ricerche effettuate alla rete idrica e non solo. Ora degli studi confermano che Sars-Cov-2 ha più facilità di diffusione in particolari condizioni meteoclimatico/ambientali. Le prime, fanno riferimento, appunto a particolari condizioni atmosferiche meteorologiche (pioggia, neve, vento), quelle climatiche sono indirizzate invece alla stagionalità. Ovvero, sembra sempre più probabile che il coronavirus si diffonda a temperature più basse, con alti tassi di umidità e con poco soleggiamento (autunno e primavera per intenderci).
Ultimo, ma non meno importante, il fattore ambientale: l'inquinamento. La correlazione tra virus e pessima qualità dell'aria è emerso, in particolare, da uno studio curato da ricercatori italiani e da medici della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima): le polveri sottili avrebbero esercitato un cosiddetto 'boost', ovvero un accelerazione nel contagio dell'infezione. A tal proposito, Leonardo Setti, ricercatore dell'Università di Bologna, ha così commentato: "Le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura Padana hanno prodotto un'accelerazione alla diffusione del Covid19. L'effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai".
Ultimo, ma non meno importante, il fattore ambientale: l'inquinamento. La correlazione tra virus e pessima qualità dell'aria è emerso, in particolare, da uno studio curato da ricercatori italiani e da medici della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima): le polveri sottili avrebbero esercitato un cosiddetto 'boost', ovvero un accelerazione nel contagio dell'infezione. A tal proposito, Leonardo Setti, ricercatore dell'Università di Bologna, ha così commentato: "Le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura Padana hanno prodotto un'accelerazione alla diffusione del Covid19. L'effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai".
Nessun commento:
Posta un commento