Sequestrati a Ghat, in una zona controllata da tribù vicine al governo.
Catturato anche un italo-canadese. Corsa contro il tempo per liberarli
Francesca Schianchi e Giordano Stabile
Erano partiti di prima mattina, diretti alla sede della loro
azienda, nella località di Bir Tahala, qualche decina di chilometri a
Nord di Ghat. Un viaggio di routine fra l’aeroporto della città, dove la
Con.I.Cos di Mondovì cura i lavori di manutenzione, e gli uffici. Ma
lungo il percorso li aspettavano i sequestratori. Appoggiati ai loro
fuoristrada, come se fossero in panne. La macchina con a bordo i due
tecnici italiani, l’autista e un italo-canadese di un’altra azienda che
aveva chiesto un passaggio, ha rallentato. I rapitori hanno tirato fuori
le armi, sparato per costringerla a fermarsi e fatto salire i quattro
sulla loro auto. L’autista è stato lasciato per strada poco dopo, con le
mani legate. Per Bruno Cacace, 56 anni, residente a Borgo San Dalmazzo
in provincia di Cuneo, Danilo Calonego, 68enne della provincia di
Belluno, e l’italo-canadese Frank Boccia è cominciato invece un incubo
che si spera finisca presto. Iniziato all’alba ma tenuto riservato dalla
Farnesina fino a sera, in una serrata corsa contro il tempo per tentare
la liberazione prima che - l’ipotesi più temuta dalle nostre autorità -
gli operai rapiti possano essere «venduti» a milizie islamiste.
Continua
qui
Lavori ad alto rischio nel Far West del deserto
Ecco chi sono i due tecnici italiani sequestrati in Libia
Nessun commento:
Posta un commento