Paolo Baroni
Roma
La legge di stabilità rischia di innescare un effetto slavina sul
fronte delle tasse. Non solo perché è forte la tentazione da parte di
comuni e regioni di recuperare a una parte consistente dei tagli che
subiranno, ma perché le clausole di salvaguardia, che dal 2016 prevedono
un aumento automatico delle aliquote Iva, possono avere un effetto
devastante. Il governo, da Renzi al ministro Padoan, continua ad
assicurare che questi aumenti non scatteranno, ma intanto nella
Stabilità ha messo nero su bianco 53,3 miliardi di nuove entrate in tre
anni (12,8 nel 2016) per effetto del rialzo delle aliquote Iva dal 10 al
13% e dal 22 al 25,5%. Per evitare questa stangata il governo ha una
sola strada: tagliare una quota equivalente di spese. Impresa che oggi,
come insegna il flop della spending review, si annuncia titanica. Effetto boomerang sui consumi
Il problema però non si esaurisce qui. Secondo Confcommercio, infatti, incrementi dell’Iva e delle accise di questa entità, qualora si verificassero, produrrebbero un contraccolpo immediato sui consumi facendo perdere all’incirca 65 miliardi di base imponibile (16 miliardi nel 2016, 24 nel 2017 e 25 nel 2018). E di conseguenza anche il gettito ne risulterebbe penalizzato: anziché i 53,3 miliardi attesi l’operazione-salvaguardie ne frutterebbe «appena» 46,5 dando così origine ad un buco aggiuntivo cumulato di 6,8 miliardi in 3 anni. Se a questo si aggiunge che alcune delle leggi precedenti prevedono altre salvaguardie, non totalmente disinnescati dalla nuova legge di stabilità, per un totale di 18 miliardi di euro in tre anni (4 nel 2016 e 7 nel 2017 e 2018), il conto delle coperture richieste per evitare nuove imposte sale all’iperbolica cifra di 71,3 miliardi: 16,8 nel 2016, cifra confermata alla Camera anche dal Bankitalia e dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), 26,2 nel 2017 e 28,3 nel 2018.
Continua qui
Nessun commento:
Posta un commento