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giovedì 14 gennaio 2021

Abbandonati alle frontiere, storie di transito nell’inverno del Nord Italia

 

Le violenze, le fatiche e le vessazioni che sono costretti a subire uomini, donne e bambini durante il viaggio nel video di «Medici senza frontiere» | CorriereTv

Alle frontiere del Nord Italia migranti e rifugiati in transito sono di nuovo in forte crescita negli ultimi mesi. Restano identiche le umiliazioni, le violenze, le fatiche e le vessazioni che sono costretti a subire uomini, donne e bambini durante il viaggio. L’obiettivo di arrivare è l’unica cosa che li tiene in piedi, nonostante tutto. «Nelle città di frontiera le istituzioni sono del tutto assenti e l’accoglienza, l’assistenza umanitaria, il supporto medico sono lasciati nelle mani di attivisti e volontari a cui MSF offre supporto», dichiara Marco Bertotto responsabile affari umanitari di MSF. «Ma è innanzitutto responsabilità dei governi adottare politiche migratorie che garantiscano assistenza e protezione, piuttosto che esclusione e sofferenza. MSF chiede alle autorità italiane di interrompere i “respingimenti a catena” al confine sloveno; di assicurare che il controllo dei confini con la Francia rispetti la dignità e la sicurezza delle persone e tuteli i più fragili e di garantire in tutte le aree di frontiera adeguate condizioni di alloggio, assistenza e accesso alle cure».

Dopo la chiusura del campo di transito, a Ventimiglia migranti e rifugiati vivono per strada, lungo i binari, in edifici abbandonati e in spiaggia. Solo le associazioni e le reti informali garantiscono pasti caldi e un punto di ristoro al confine e solo grazie al loro impegno le famiglie con bambini riescono a trovare un alloggio in città. «Riusciamo a raggiungere le persone grazie a una fitta rete solidale che si è costituita nel territorio», racconta Luca Daminelli, attivista di Progetto 20K, che tutte le sere in un parcheggio di fronte al cimitero distribuisce un pasto caldo e vestiti alle persone in transito alla frontiera di Ventimiglia. A Oulx, in Alta Valle di Susa, la pandemia di Covid-19 e il periodo di lockdown hanno portato a una diminuzione dei flussi, senza però mai interromperli. «In tutti questi anni ci sono stati solamente 5 morti grazie ai volontari e attivisti che prestano soccorso in montagna. È come dare un salvagente a chi sta affogando: significa evitare che la gente muoia», racconta Piero Gorza, antropologo e rappresentante per il Piemonte di MEDU.

Sono circa 120 i migranti che vivono in strada a Bolzano. Sotto il ponte dell’autostrada circa 50 persone vivono in condizioni terribili, in mezzo a cumuli di immondizia, topi che corrono tra tende malconce, senza acqua né servizi igienici. Issifi, originario del Niger, è stato per un periodo in Germania e in Svizzera, ma poi è tornato in Italia. A Bolzano ha vissuto in strada per più di un anno fino a quando non ha incontrato Reiner, un contadino che coltiva mele biologiche, che ha deciso di ospitarlo nell’azienda agricola anche fuori la stagione della raccolta. «Conoscere la sua storia è stato importante, mi ha arricchito. Nessuno di noi può immaginare le cose terribili che si vivono affrontando un percorso come quello che hanno affrontato loro. E nonostante tutto portano sempre il sorriso».


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