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lunedì 14 maggio 2012

Paolo Borsellino, il pm malinconico nella trincea dell'antimafia

Pessimista, combatteva spinto dalla forza della sua etica.  Il suo capolavoro: i diciannove ergastoli nell'aula bunker.

Gianni Riotta
Palermo si diverte da sempre ad opporre gli studenti del Liceo Garibaldi, raffinati, snob, disincantati, a quelli del Meli, secchioni, colti, intensi, cercandone il Dna perfino nelle singole sezioni scolastiche. Al Meli, generazione dopo generazione, la C ha ragazzi dai buoni voti, capaci di buttar tutto in una risata. È al Meli che prende la maturità classica nel 1958 Paolo Borsellino, 8 in italiano, greco, filosofia e fisica, 7 in latino, storia, matematica, chimica. Lo sfrontato stile «sezione C» nel 7 in condotta, garanzia di bocciatura evitata in extremis. Così Borsellino, Dioscuro con Giovanni Falcone del pool antimafia di Palermo, si iscrive a Giurisprudenza, nel chiostro all’ombra della cupola d’oro dei padri Teatini. Matricola 2301, simpatie per il Fuan «Fanalino», goliardi del Msi. Basta perché Falcone entri a volte nel suo ufficio, schioccando i tacchi: «Camerata Borsellino!».

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