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lunedì 9 marzo 2015

Dai cappelli al gas, il buco da 3 miliardi del signor Borsalino

In un capannone alla periferia di Asti c’è un buco che potrebbe arrivare fino a tre miliardi e mezzo di euro, la seconda più grande bancarotta della storia d’Italia dopo Parmalat. Un sistema di truffe e raggiri a catena in un settore ultra-regolamentato e strategico per la sicurezza nazionale come il mercato dell’energia. E i costi - in parte - scaricati sui consumatori sottoforma di maggiorazione nella bolletta del gas. È la storia della voragine nascosta sotto i cappelli Borsalino, lo storico marchio della moda italiana ad un passo dal fallimento. Protagonista di tutto questo, il signor Marco Marenco, azionista di Borsalino che da piccolo imprenditore che vende tubi in rame diventa uno dei principali operatori del mercato del gas prima e un latitante e bancarottiere da record poi.


Le truffe
Fino a un paio di anni fa, nessuno sapeva bene chi fosse davvero Marco Marenco. Neppure ad Asti, la sua città. I primi ad accorgersi che qualcosa non va sono i funzionari dell’agenzia delle dogane di Alessandria. Mettono insieme i puntini e si accorgono che quella fila di società che fanno trading di gas e non pagano le accise fanno tutte capo alla stessa persona: Marco Marenco, appunto. All’Erario mancano almeno 200 milioni di euro. Intanto, c’è anche qualcun altro che si accorge che qualcosa non va. È Snam, la società che tra le altre cose gestisce il mercato del gas in Italia. Il sistema degli stoccaggi è in mano a Stogit, una controllata di Snam. È un settore chiave della sicurezza nazionale che garantisce una fetta importante del nostro fabbisogno di energia. Il sistema prevede delle compensazioni, per cui se un operatore non riceve la fornitura attinge alle riserve comuni, con l’obbligo di pagare in denaro o gas, pena pesanti sanzioni. Marenco non paga. Lo fa ripetutamente e per un bel po’ di tempo e accumula almeno 355 milioni di euro di debiti tra il 2009 e il 2011. Cambiano le società: prima la Speia, poi la Service, la Exergia e altre. In totale, il buco per il sistema del gas potrebbe superare il miliardo, in gran parte per sanzioni non pagate. Non basta. All’inizio del 2012 un pronunciamento del Tar apre una «falla» normativa nel sistema delle compensazioni. Marenco e altri operatori truffaldini s’infilano anche lì e fanno un altro buco. Oltre 400 milioni di forniture non pagate. Almeno 250 milioni sono società del gruppo Marenco. È la parte nota alle cronache come «i furbetti del gas». Meno noto è che il buco, ridotto a 280 milioni, finisce nella bolletta del gas. Sono 0,001 euro a metro cubo spalmati su tre anni che pagano i consumatori.

La donazione a mamma
Intanto Marenco non sta con le mani in mano. Siamo a metà del 2012. Snam si rivolge al tribunale per riavere i soldi, ma Marenco fa partire una lunga battaglia legale che ancora va avanti. In quei giorni, parte un bonifico di 40 milioni di euro dalla Speia ad un conto della madre di Marenco. Causale: «donazione». Si arriva al 2013 e le società dell’imprenditore vengono dichiarate fallite dal tribunale. Sono una decina in tutte. Oltre alla Speia c’è Finind, Baltea Energia, Service srl, Camarfin, Camar. La voragine del «sistema Marenco» appare in tutta la sua enormità: almeno 3,5 miliardi di euro in totale, debiti con il fisco, con Snam, con le banche (circa 340 milioni suddivisi tra Intesa, Unicredit, Banco Popolare, Mps, Banca Marche e altri), con fornitori di gas italiani e stranieri, grandi e piccoli.

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