MILANO - Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri «non c'entrano niente» con le stragi del 1993. Giovanni Brusca lo disse dialogando con il cognato e lo ha ripetuto a Firenze, deponendo al processo al boss Francesco Tagliavia, unico imputato per la strage dei Georgofili. Il collaboratore di giustizia lo ha voluto precisare: Berlusconi e Dell'Utri «non sono i mandanti esterni delle stragi», ma, nel contro-esame ha poi dichiarato che, subito dopo la seconda ondata di attentati, mandò Mangano in missione a Milano. Il compito dello stalliere di Arcore era di avvertire Dell'Utri e Berlusconi che, se non avessero trattato con la mafia, rivedendo il 41 bis e il maxiprocesso, gli attentati sarebbero continuati.
«MANDAI MANGANO A MILANO» - «Nel '92 Cosa nostra aveva rapporti con la sinistra, con politici locali, con Lima e a livello nazionale con Andreotti» ha raccontato Brusca, sottolineando che invece dopo la strage di via d'Amelio cessò «ogni contatto» con lo Stato. Le stragi di Firenze, Roma e Milano furono quindi «strumenti per risvegliare lo Stato e per consigliarlo a trattare nuovamente». È a questo punto, ha spiegato il pentito nella sua deposizione, che è subentrato un nuovo referente politico dei mafiosi, cui vennero rivolte le stesse richieste che erano già state rivolte all'allora ministro degli Interni Nicola Mancino. «Mandai Mangano a Milano - ha testimoniato Brusca - ad avvertire dell'Utri e, attraverso lui, Berlusconi che si apprestava a diventare premier, che senza revisione del maxiprocesso e del 41 bis le stragi sarebbero continuate. Mangano - ha aggiunto Brusca - tornò dicendo che aveva parlato con dell'Utri, che si era messo a disposizione». Secondo il colalbore di giustizia, l'attentato all'Olimpico contro i carabinieri era una vendetta per chi non aveva mantenuto le promesse: «Chiudiamo il caso con il vecchio - ha spiegato - vendicandoci, e apriamo il nuovo».
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