Centocinquantasei giorni di insurrezione, guerra civile e intervento
internazionale hanno concluso nella notte 42 anni di regime in Libia. A
Bengasi decine di migliaia di persone hanno aspettato per tutta la notte
la “notizia”, la cattura o la morte del “leader della rivoluzione”, il
golpe militare che il 1 settembre 1969 rovesciò la monarchia di re
Idris, considerato troppo accondiscendente verso l’occidente. La notizia
però non è arrivata e Gheddafi è rimasto nel suo ultimo rifugio, nel
quartiere di Bab el-Azizia, dove si sono concentrate le sacche finali
della resistenza delle sue truppe. Sporadici combattimenti sarebbero
ancora in corso in alcuni quartieri, ma la capitale libica è nelle mani
dei ribelli.
Negli ultimi due giorni la morsa su Tripoli si è chiusa e già nel
pomeriggio di ieri la Nato si era sbilanciata a dire in un comunicato
ufficiale che il regime stava crollando. Tra mezzanotte e mezzo e l’una
di notte in sequenza sono arrivate le conferme: arrestati due dei tre
figli superstiti del colonnello, Saif al Islam - ricercato come il padre
dalla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità
– e Mohammed, il meno implicato nella dittatura, che per telefono
all’emittente panaraba Al Jazeera ha raccontato direttamente che casa
sua era circondata dai ribelli. La comunicazione è caduta
improvvisamente dopo che si sono sentiti degli spari e sembrava che
Mohammed fosse stato ucciso, mentre più tardi si è saputo che si era
arreso ai ribelli.
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