A dieci mesi dall’arrivo dell’epidemia di coronavirus in Europa, ancora molte cose sono poco chiare alla comunità scientifica, ma nella gestione del contagio una certezza sembriamo averla: la Svezia non è un modello da seguire.
Se nelle due ondate la maggior parte dei Paesi in Europa ha scelto di introdurre misure molto restrittive per ridurre le interazioni sociali, il Paese scandinavo ha lasciato un ampio margine di libertà ai suoi cittadini, non optando per il lockdown e fornendo, al massimo, delle raccomandazioni su che cosa fare.
Dopo diversi mesi, è sempre più evidente che questa strategia si è rivelata essere un fallimento. Vediamo nel dettaglio il perché.
L’obiettivo dell’immunità di gregge
La strategia svedese è stata ideata dalla Folkhälsomyndigheten (Fhm), l’ente statale che si occupa della salute pubblica, e in particolare dall’epidemiologo Anders Tegnell, capo del dipartimento dedicato all’analisi dei dati.
Sin dalla prima ondata, il piano svedese non è stato quello di limitare il più possibile la diffusione del virus nella popolazione, ma quello di evitare il collasso del sistema sanitario. Il governo di centrosinistra di Stefan Löfven ha per lo più solo incoraggiato i cittadini a seguire le raccomandazioni emesse dalla Folkhälsomyndigheten, puntando molto sulla responsabilità individuale. Per esempio, le scuole per chi aveva meno di 16 anni sono rimaste aperte, così come ristoranti, bar, negozi e palestre. L’utilizzo della mascherina non è stato reso obbligatorio e non è stato fissato un numero massimo di persone che potevano incontrarsi.
Agli occhi del mondo la Svezia stava perseguendo la strategia della cosiddetta “immunità di gregge”, che consiste nel far ammalare il maggior numero di persone al fine di fargli sviluppare gli anticorpi e limitare, in modo per così dire naturale, la diffusione del virus. Se infatti il 60-70 per cento delle persone riesce a sviluppare l’immunità, il contagio tende via via a sparire. Un livello di immunità minore potrebbe comunque rallentare la circolazione del contagio.
Secondo Tegnell, i lockdown non avevano alcuna base scientifica e i Paesi europei si stavano facendo condizionare da quanto fatto in Cina: mirare all’immunità di gregge sarebbe stata invece una strategia più sostenibile sul lungo periodo, viste le lunghe tempistiche previste per lo sviluppo di un vaccino.
«In autunno ci sarà una seconda ondata. La Svezia avrà un alto livello di immunità e il numero di casi sarà probabilmente piuttosto basso», disse a inizio maggio Tegnell al Financial Times. «Ma la Finlandia avrà un livello di immunità molto basso. La Finlandia dovrà entrare di nuovo in un lockdown completo?».
I dati hanno però smentito le previsioni svedesi.
Non è andata come sperato
Secondo diverse stime, la Svezia è ancora parecchio lontana dall’immunità di gregge. In base a uno studio pubblicato a settembre dalla Fhm, a fine giugno solo il 7,1 per cento degli svedesi aveva contratto il coronavirus. Una percentuale superiore, per esempio, alle stime del 2,5 per cento sulla popolazione italiana (indagine Istat pubblicata a luglio), ma comunque distante dal livello del 70 per cento visto prima.
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