Con la lama dell’Isis alla gola
Finte esecuzioni, video, scimitarre Il racconto del giornalista spagnolo rapito dai terroristi e tornato a casa
Il
filo della scimitarra mi sfiorava la giugulare. Ai Beatles - era questo
il soprannome che avevamo dato ai tre miliziani - piaceva molto la
messinscena. Mi avevano fatto sedere per terra. Scalzo. La testa rapata e
la barba incolta e indosso l’«uniforme» arancione che ha reso così tristemente famosa la prigione americana di Guantánamo.
John si divertiva a esagerare il melodramma, accarezzandomi il collo con l’acciaio senza smettere di parlare.
«Lo senti? È freddo, vero? Pensa al dolore se te lo affondassi nel
collo. Un dolore tremendo. Il primo colpo ti taglia le vene e sputi
saliva e sangue».
L’estremista si era fatto portare apposta la
scimitarra, un’arma d’epoca, una spadona come quelle che usavano gli
eserciti musulmani nel Medioevo, la lama lunga quasi un metro, con
l’elsa argentata.
«Il secondo colpo ti squarcia il collo. Già non
respiri più dal naso, ma direttamente dalla trachea. Cominci a fare
versi strani, a gorgogliare. L’ho già visto. Ti contorci come un
animale, come un maiale. Il terzo colpo ti stacca la testa. Poi te
l’appoggio sulla schiena».
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