Oltre 100 piattaforme petrolifere dei nostri mari sono prive di monitoraggio. Di esse non si ha alcuna stima o controllo. A lanciare l'allarme è stata Greenpeace.
L'associazione, lo scorso settembre, aveva richiesto al Ministero dell'ambiente i piani di monitoraggio delle piattaforme che operano nei mari italiani che secondo dati del Ministero dello Sviluppo Economico sono 135. Ma Greenpeace ha ricevuto solo i piani di monitoraggio di 34 piattaforme, di proprietà Eni.
Così ha richiesto informazioni sulle
altre 100 piattaforme e sulle strutture assimilabili, non ricevendo però
alcun dato relativo ad esse.
“Il Ministero aveva deciso deliberatamente di limitare l'accesso agli atti o il problema era l’assenza di monitoraggi?” si è chiesta l'associazione.
Il mistero, se così possiamo definirlo, è
stato presto svelato ed è stata proprio Eni a fare chiarezza con una
nota alle agenzie di stampa:
“Relativamente alle ‘100 piattaforme mancanti’, per le quali secondo Greenpeace non sarebbero stati forniti i piani di monitoraggio, Eni spiega che quelle di propria pertinenza, non emettono scarichi a mare, né effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire”.
Piattaforme prive di controlli perché, a
detta di Eni, non prevedono scarichi in mare. Ma davvero in questi casi
non serve alcun monitoraggio?
Spiega Greenpeace che le piattaforme
offshore siano state escluse dalla categoria di “impianti a rischio di
incidente rilevante” in virtù di un recepimento della direttiva 2012/18/UE ritenuto aberrante. Di
fatto, la legge esclude che tali strutture possano subire danni di ogni
tipo, dal guasto al collasso ma anche incendi e perdite.
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