Genova - La frase buttata
lì a poche ore dallo sgombero pareva soprattutto scaramantica: «Con un
miracolo, forse qui ci torneranno i nostri figli». Oggi che sono passati dodici mesi, e sulla frana di Capolungo non si è guadagnato mezzo centimetro di sicurezza, la si può leggere con molto più realismo.
Il
problema è tanto semplice quanto disarmante, specie
nell’“anniversario”: le quattro famiglie (dieci persone) alle quali è
stata negata dal Comune la possibilità di rientrare, sono state
paralizzate da un ginepraio di burocrazia e rimpalli che neanche in un
fumetto. Al punto che c’è persino chi ha deciso di metterci 300 mila euro di tasca propria,
pur di tornare a casa, schiantandosi contro conferenze dei servizi,
responsabili paesistici, Soprintendenza e quant’altro. Risultato: pure
un restyling che poteva cominciare a luglio resta al palo a causa d’un
tardivo via libera. E siccome la compagine delle “vittime” non sempre ha
proceduto compatta, c’è un’altra famiglia che ha deciso di fare causa
agli enti locali e ai compagni di sventura, cosicché sulla vicenda s’è
abbattuto l’immancabile processo civile.
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