Dopo l'assoluzione in secondo grado della Commissione Grandi Rischi, la
Protezione Civile chiede la restituzione delle somme a chi come Tonino,
ha perso due figlie, la casa e il lavoro e dopo sei anni ancora non è
riuscito a ricostruire la sua vita
La richiesta è arrivata a casa della madre. E’ un “atto di messa in
mora” con un “intimazione di pagamento” dei soldi ricevuti, è stato
inviato a tutti i parenti delle 309 vittime del terremoto del 6 aprile
del 2009 a L’Aquila. Nel caso di Tonino l’ordine è di restituire
30mila euro più gli interessi, la somma che il tribunale aveva
considerato giusta per ricompensarlo della perdita di due figlie. La compagna probabilmente non è stata calcolata nel risarcimento: non essendo sposati era come se non esistesse. La casa è stata esclusa perché Tonino aveva un reddito alto, poteva pensarci da solo a ricostruirsi un tetto. E nemmeno il lavoro
è stato preso in considerazione, sei anni e mezzo fa era il titolare di
una delle principali ditte di autotrasporto del capoluogo. Aveva 30 dipendenti,
clienti e merci da tutt’Italia: poteva ricominciare come se nulla fosse
successo, dovevano aver pensato i giudici del tribunale.
Dopo il terremoto, dopo aver riconosciuto quel che restava delle figlie,
e dopo averle viste calare in una fossa a 12 e 15 anni, in effetti
Tonino aveva ricominciato a fare qualcosa. “Il primo anno c’era tanta
gente tra vigili del fuoco, volontari, tecnici. Si lavorava comunque.
Dopo è arrivato il momento peggiore, quando i riflettori si sono spenti e
noi siamo rimasti soli con le macerie”, racconta. Da quel momento in
poi lavoro non ce n’era davvero più. I clienti di Tonino continuavano a
ritirare la merce ma non pagavano più. Uno di loro è arrivato ad
accumulare 200mila euro di debiti con lui.
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