Il rapporto 2017 dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Mipaaft pubblicato nel giugno 2018 dedica quattro pagine e una decina di foto agli alimenti made in Italy contraffatti dai cinesi, e sottolinea con soddisfazione i quasi 300 interventi portati avanti con successo contro l’Italian sounding. Il rapporto dedica solo 15 righe all’Operazione che ha portato al sequestro di 750 mila cosce di prosciutto destinate a diventare crudo di Parma e di San Daniele presso 180 stagionatori, per un valore di 80 milioni. La nota precisa che una parte di queste cosce (400 mila) sono state poi escluse dal mercato dei prosciutti Dop tramite smarchiatura. A questo gruppo si sommano altri 490 mila pezzi smarchiati volontariamente da parte dei singoli operatori della filiera. Stiamo parlando di un’operazione gigantesca definita nel rapporto come “una delle più rilevanti mai svolte in Italia nell’agroalimentare” che ha coinvolto oltre 1,2 milioni di prosciutti provenienti da suini nati e cresciuti in Italia, stagionati in aziende locali e destinati a essere venduti come Prosciutto crudo di Parma e Prosciutto crudo di San Daniele. Due settimane fa una decina di testate online tra cui Il Messaggero, il Corriere della sera, Sky Tg24 e altre, hanno riportato la notizia dell’imminente processo per la vicenda dei falsi prosciutti di Parma e San Daniele, dicendo che i salumi erano ottenuti da maiali danesi. Non è così. In questa storia solo il seme usato per inseminare le scrofe si chiama Duroc danese, tutta la filiera è made in Italy al 100%. Il Fatto Alimentare aveva dedicato 8 mesi fa, ampio spazio a questa vicenda che abbiamo titolato “prosciuttopoli” per l’elevato numero dei prosciutti coinvolti (vedi bibliografia in fondo). La nostra stima sul numero di cosce coinvolte era però sottostimata rispetto alle cifre stratosferiche riportate nel rapporto dell’Icqrf.
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