inviato a Pontelangorino (Ferrara)
Il padre di M. Eccolo, sta fuori al gelo e piange. Ci sono due piccoli leoni di cemento davanti all’ingresso di questa casa di un solo piano, che non sarebbe giusto definire villetta in ossequio ai cliché dell’orrore italiano. La casa di M è quella di una famiglia che fa fatica. Poca luce, umidità. È una frazione di campagna persa verso il delta del Po: una rotonda, una chiesa, il presepe ancora acceso, il Tiki Bar. Vivevano in cinque in questa casetta, marito, moglie e tre figli, di cui uno molto malato. «Io sono di razza contadina», dice il padre di M. «Per me ti devi impegnare per avere qualcosa, solo così la ottieni. Quando mio figlio si è fatto bocciare la seconda volta per il patentino, io gli ho detto di arrangiarsi. Che si tenesse la bici, perché bisogna imparare a faticare. Avevo già speso 600 euro, mi sembrava abbastanza. Ma quell’altro, il suo amico, stava bene e pretendeva sempre di più. Aveva lo scooter, il telefono da 700 euro, i vestiti tutti firmati. Detestava la madre perché lo sgridava duramente, cercava di mettergli un freno. Avevano litigato molto, nell’ultimo periodo. Lo sapevo anche io, ma chi poteva immaginare una cosa simile?».
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