Come ogni anno, oggi, il mondo del ciclismo va in processione a Castellania, un borgo su una collina del Tortonese, da Coppi, Fausto Coppi, il Campionissimo
E’ un appuntamento, un evento, un anniversario. E’ un rito, una cerimonia, una tradizione. E’ un appello, un censimento, un riconoscimento. E’ una messa religiosa eppure anche laica, una messa a preghiere eppure anche a pedali. E’ una corsa sul posto, una volata nel tempo, un gran premio della montagna nella memoria. E’ una festa nonostante si celebri un lutto (una festa luttuosa?, un lutto festoso e festivo?), quello che il 2 gennaio 1960 investì l’Italia e travolse il ciclismo. E così ogni 2 gennaio si va a Castellania, un borgo su una collina del Tortonese, da Coppi, Fausto Coppi, il Campionissimo. Nella sua casa, la prima, quella della famiglia, oggi trasformata in una sorta di museo, e nell’altra casa, l’ultima, un mausoleo, elevato anch’esso a museo, ma anche a sacrario, a santuario, uno dei luoghi di pellegrinaggio più conosciuti e frequentati.
Coppi morì alle 8.45 nell’ospedale di Tortona. Malaria, si disse, si scrisse, si ammise troppo tardi. Il ciclismo lo aveva scolpito, la febbre lo aveva prostrato. Dimostrava più anni di quelli che aveva, quaranta, era nato il 15 settembre 1919 (e il prossimo 15 settembre sarà il centenario della nascita: un’altra festa luttuosa infinita). Ma da quanto aveva sopportato – un uomo solo al comando, con la bici ma anche senza, in mille corse e in due matrimoni – Coppi era già alla sua seconda, forse addirittura alla soglia della sua terza vita. La notizia dell’ultima, definitiva fuga, quella mortale, in tempi in cui esistevano i quotidiani del pomeriggio ma non Internet, fu diffusa alla radio e alla televisione, echeggiò fra cascine e bar, risuonò in chiese e tinelli, ribollì in redazioni e tipografie. Coppi era il ciclismo, lo sport. Coppi era il mito, la leggenda. Coppi era, da vent’anni, l’Italia, la storia dell’Italia, prima e dopo la guerra, cioè la miseria, la rinascita, la ricostruzione. Coppi era sogni e rivincite. Coppi era la parola d’ordine come codice di un’appartenenza. Coppi era una colonna sonora muta, ma che ognuno aveva riempito di esclamativi, esortazioni, soddisfazioni. Coppi – come spiegavano, senza spiegare, corridori e giornalisti folgorati dalle sue imprese - era Coppi.
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