ROMA. Al momento per l’Italia non c’è «uno scenario da crisi del debito pubblico. Tuttavia in uno scenario alternativo in cui i policymaker perseguano soluzioni non ortodosse – come l’introduzione di una valuta parallela o di misure di bilancio senza copertura finanziaria, per eludere i vincoli fiscali stabiliti dai trattati Ue – l’adesione dell’Italia all’area Euro potrebbe essere messa in discussione. In extremis, potrebbe verificarsi una nuova crisi di fiducia come quella avvenuta in Grecia nel giugno 2015».
Crescita troppo bassa
L’allarme, l’ennesimo, arriva dall’agenzia americana Standard and Poor’s che ieri ha diffuso un report sui rating dei paesi dell’Eurozona ricordando che l’Italia è l’unico stato sovrano con outlook (prospettive) «negativo». Questo a causa di un debito pubblico monstre, di una crescita sempre debole (dal 2010 la nostra economia è cresciuta in termini reali solo dello 0,6% contro il 10,6% dell’intera area Euro) e dell’incapacità dei decisori politici di affrontare questi nodi. Secondo S&P, infatti, «dopo aver vinto le elezioni del marzo 2018, l’attuale coalizione di governo ha velocemente congelato le modeste iniziative di riforma e ha iniziato a contrastare la Commissione Europea nel suo mandato di vigilare sull’osservanza da parte degli Stati membri della regolamentazione fiscale dell’Unione». Quindi ricorda che una controversia di questo tipo «ha in genere effetti di secondo piano sul settore privato dell’economia, comprese le basi di finanziamento del sistema bancario. Questo è stato il caso della Grecia, un’economia molto più piccola (meno del 2% del Pil dell’Eurozona) nel giugno 2015. La questione ora – sottolineano gli analisti Usa – è se sarà lo stesso anche per un’economia molto più grande come l’Italia, che rappresenta il 15% del Pil dei 27».
L’allarme, l’ennesimo, arriva dall’agenzia americana Standard and Poor’s che ieri ha diffuso un report sui rating dei paesi dell’Eurozona ricordando che l’Italia è l’unico stato sovrano con outlook (prospettive) «negativo». Questo a causa di un debito pubblico monstre, di una crescita sempre debole (dal 2010 la nostra economia è cresciuta in termini reali solo dello 0,6% contro il 10,6% dell’intera area Euro) e dell’incapacità dei decisori politici di affrontare questi nodi. Secondo S&P, infatti, «dopo aver vinto le elezioni del marzo 2018, l’attuale coalizione di governo ha velocemente congelato le modeste iniziative di riforma e ha iniziato a contrastare la Commissione Europea nel suo mandato di vigilare sull’osservanza da parte degli Stati membri della regolamentazione fiscale dell’Unione». Quindi ricorda che una controversia di questo tipo «ha in genere effetti di secondo piano sul settore privato dell’economia, comprese le basi di finanziamento del sistema bancario. Questo è stato il caso della Grecia, un’economia molto più piccola (meno del 2% del Pil dell’Eurozona) nel giugno 2015. La questione ora – sottolineano gli analisti Usa – è se sarà lo stesso anche per un’economia molto più grande come l’Italia, che rappresenta il 15% del Pil dei 27».
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