OLBIA. Per 1774 giorni nessuno ha mai considerato che quelle carcasse arrugginite potessero rappresentare un grave rischio ambientale. Più che un caso di inquinamento, la storia delle auto dimenticate nella scarpata tra Olbia e Tempio Pausania sembrava il simbolo di un doppio dramma. Quello dell’alluvione del 18 novembre, che nel 2013 ha messo a soqquadro la Sardegna e provocato 19 morti, e quello successivo fatto di opere rimaste distrutte, processi mai conclusi e mancanza di rispetto verso le persone che in quella voragine avevano perso la vita e verso quelle che si erano salvate solo per miracolo.
Fino al settembre del 2018 di quelle due macchine accartocciate, sommerse di fango e sassi lungo la strada che qui tutti conoscono come Monte Pino, nessuno si è preoccupato tanto. Ma ora il punto di vista sembra essere cambiato: un anno fa i mezzi sono stati finalmente tirati fuori dal groviglio di terra e cespugli e nei giorni scorsi è arrivata la beffa. A farne le spese sono ora i figli delle vittime e la ragazza che era uscita viva da quella trappola. «Le auto sono state lasciate in un terreno accanto alla zona del crollo e ora devono essere rimosse a nostre spese - racconta Veronica Gelsomino, che quel pomeriggio viaggiava sulla sua Alfa 147 e che da allora ha subito ben cinque operazioni chirurgiche - Ci ha chiamato la Guardia di finanza e ci ha comunicato che spetta a noi recuperare i rottami e pagare lo smaltimento».
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