Chi di banca ferisce, di banca perisce, verrebbe da dire il giorno dopo il piano di salvataggio di Carige messo a punto dal governo. Con tanto di giallo sui presunti conflitti di interesse del premier, Giuseppe Conte, per i suoi legami con alcuni consiglieri dell'istituto genovese, smentiti categoricamente da Palazzo Chigi. Ma che, nel frattempo, hanno già generato la levata di scudi del Pd e qualche mal di pancia nelle fila dei grillini. Tanto da spingere il vicepremier, Luigi Di Maio, a rigettare via «social» tutte le critiche. A partire da chi ha visto nella vicenda Carige una rivincita della ditta Renzi-Boschi che, proprio su Banca Etruria e dintorni si è giocata una buona parte della campagna elettorale. Al di là dello scontro politico, Banca Carige andava salvata. Nell'interesse dei correntisti, che rischiavano di perdere i risparmi senza colpa. Ma anche dell'intero sistema del credito, che avrebbe pagato un prezzo altissimo, perdendo credibilità e fiducia, con il rischio di un effetto a catena. Insomma, il governo non aveva altra scelta. È vero che, come dice Di Maio, per ora l'esecutivo non ha tirato fuori un euro, prestando solo una garanzia e impegnandosi a ricapitalizzare la banca. Sarà. Ma, in ogni caso, nei bilanci dello Stato andranno individuati e «vincolati» i 5 miliardi previsti dal decreto Carige. Da questo punto di vista, il piano di salvataggio del governo non è molto diverso da quello firmato dall'ex premier Renzi. C'è di più. Le garanzie statali, per essere approvate dalla Commissione europea, devono automaticamente essere applicate anche agli altri istituti che si trovano nelle stesse condizioni (un caso per tutti, la Popolare di Bari), con l'inevitabile lievitazione dei costi a carico dei contribuenti.
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