La Camera dei Comuni ha bocciato l’accordo fra Theresa May e l’Ue del 26 novembre scorso. Una sconfitta sonora, uno schiaffo secco come mai un premier in carica aveva subito.
A dire no alle 585 pagine dell’intesa e all’allegato politico (sul futuro dei rapporti fra Regno Unito e Ue) sono stati 432 deputati, con il governo se ne sono schierati appena 202: uno scarto di 230 che ne fa il margine più ampio di sempre. Non è servito corteggiare uno a uno i deputati ribelli - May ne ha incontrati una ottantina fra domenica e lunedì - e nemmeno sventolare il «tradimento» verso gli elettori o la paura del «no deal» per convincere i compagni di partito a ratificare l’intesa. Tutti sono rimasti fermi sulle proprie posizioni.
Ma l’ultima pagina di questo psicodramma moderno scritto e letto sulle spalle di oltre 60 milioni di britannici non è ancora stata scritta. Quando lo speaker del Parlamento John Bercow ratifica il risultato, la premier prende la parola. È tutt’altro che sorpresa e rilancia. Nessuna retromarcia sulla bontà del suo accordo, «l’unico possibile che tutela l’uscita dalla Ue e i cittadini», ma ammette che il messaggio dei deputati le è arrivato forte e chiaro.
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