Lei aveva ottenuto la parola nell'aula del Senato per poter lanciare, in uno dei suoi slanci oratori appassionati, l'inquietudine sua e del mondo progressista davanti all'ipotesi di un patrocinio del governo al Congresso internazionale delle famiglie di Verona, dove da domani verrà lanciata un'invettiva contro ogni genere di famiglia che non sia quella "naturale", etero o niente, bando alle unioni e alle adozioni gay, radiamo al suolo le famiglie arcobaleno.
Lui, mentre lei parlava, dai banchi del governo e da quelli del gruppo della Lega ostentava la sua arroganza e la sua indifferenza, come lei fosse muta, trasparente, inesistente. Stringeva mani, scambiava chiacchiere, distribuiva abbracci, si sistemava goffo la cintura oltre la curva del ventre prominente, evitava accuratamente di lasciar cadere lo sguardo su di lei, mostrava il pollice per festeggiare la sua vittoria odierna : l'approvazione al Senato della legge sulla legittima difesa, che sancisce licenza di difendersi da ladri e rapinatori come viene, un'autostrada per i giustizieri della notte, quelli che credono sia meglio farsi giustizia da soli, tanto lo Stato poi si sa...
Lui era Matteo Salvini, leader della Lega, vicepremier e ministro dell'Interno, quello che alcune e alcuni accusano di aver sdoganato l'estremismo più oscurantista sui temi dell'accoglienza, dei diritti, della parità di genere. Lei era Monica Cirinnà, Pd, un nome che ha la risonanza di una svolta storica, la legge sulle unioni civili che ha legittimato e ufficializzato le coppie gay, che passa come una delle poche cose di sinistra realizzate dal governo Renzi.
"E' una bellissima giornata per gli italiani", tuonava Salvini tronfio e autoreferenziale, coniugando "italiani" al maschile, cose da uomini, mentre la Cirinnà e le altre signore parlano di niente, diritti civili, fuffa, chiacchiere da thé coi pasticcini. "Il non ascolto è l'ennesimo abuso contro la Repubblica", tuonava Cirinnà, la voce tremula, scossa dall'indignazione.