Non si può sopportare a lungo un governo paralizzato dai conflitti e una guerra delle promesse che pesano negativamente sui mercati
C’è una frase che accompagna ogni discussione politica, pubblica o privata, in questi giorni. Ce la ripetono tutti e ce la ripetiamo tra di noi in continuazione: «Dopo le Europee cambia tutto». Il voto del 26 maggio sta assumendo i contorni di un appuntamento salvifico, di un bagno purificatore. Cosa cambierà non è ben chiaro: forse i Cinque Stelle (sconfitti annunciati) si ritireranno dalla maggioranza, oppure Matteo Salvini (vincitore altrettanto annunciato) deciderà di passare all’incasso e diventare il numero uno indiscusso. È possibile che si torni a votare ma non si può escludere che i Cinque Stelle (altro scenario evocato spesso), si spacchino tra un’ala di governo pronta a continuare l’avventura con la Lega e un’ala movimentista desiderosa di tornare all’opposizione.
Francamente è difficile prevedere cosa accadrà fra due mesi. Abbiamo però una certezza: il governo si è trasformato in un campo di battaglia. Il contratto è finito nel cassetto e viene tirato fuori solo per dire cosa non si può fare. I due contraenti sono quotidianamente impegnati nel rito di attaccare le proposte dell’alleato. Le proprie idee diventano verità assolute da contrapporre a quelle dell’alleato-rivale e da consegnare per un giorno al pubblico. Salvo il giorno dopo abbandonarle per passare a un altro capitolo della saga gialloverde. È una strategia deliberata, neppure più nascosta, anzi consegnata ai mass media come chiave per interpretare la nuova fase.
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