Mentre in Italia giacciono in Parlamento proposte di legge mai discusse,
nel resto d'Europa sono in vigore forme di sostegno e sussidi non
destinati solo ai disoccupati. Dal modello scandinavo all'esperimento
francese, ecco come funzionano e quanto valgono. Ma il primato va
all'Alaska (grazie al petrolio). In Brasile povertà dimezzata con il
piano di Lula
L’ultima ad entrare nel club è stata l’Ungheria, nel 2009. Tutti gli altri paesi dell’Europa a 28 (tranne Italia e Grecia) hanno adottato da tempo forme di reddito minimo garantito per consentire ai loro cittadini più deboli di vivere una vita dignitosa, così come l’Europa chiede fin dal 1992.
Strumento pensato per alleviare la condizione di insicurezza di chi
vive al di sotto della soglia di povertà, in caso di perdita del lavoro
il reddito minimo scatta quando è scaduta l’indennità di disoccupazione
(che in Italia è l’ultima tutela disponibile) e il disoccupato non ha
ancora trovato un nuovo impiego. Ma nell’Ue ne beneficia anche chi non
riesce a riemergere dallo stato di bisogno nonostante abbia un lavoro.
Negli ultimi anni la tendenza generalizzata, secondo il rapporto The role of minimum income for social inclusion in the European Union 2007-2010
stilato dal Direttorato generale per le politiche interne del
Parlamento Ue, è stata quella di razionalizzare i vari sistemi, cercando
di legare più che in passato il sostegno a misure per rafforzare il
mercato del lavoro in modo da creare occupazione e ridurre il numero dei
beneficiari. Ma il reddito minimo continua ad assolvere alla sua
funzione: quella di ultimo baluardo garantito dagli Stati contro
l’indigenza.
Continua qui
Nessun commento:
Posta un commento