OVADA (AL) «Alla fine di questa storia mi prenderò un avvocato e farò causa per danni morali perché questo è praticamente un sequestro di persona». L’ovadese Patrizia Oliveri, positiva al coronavirus, è chiusa in casa da sola da fine febbraio, anche se la sua quarantena è scattata il 4 marzo: dopo 70 giorni di isolamento, con cinque rinnovi dei provvedimenti, tra tamponi con esiti contrastanti o perduti e rimpalli telefonici da un medico a un altro, ancora non ha avuto il permesso per uscire. E ora è esasperata, non ne può più, si augura solo di poter festeggiare i suoi 63 anni il prossimo 14 maggio da donna “libera”: «Ho deciso di parlare perché non sono l’unica a essere in questa situazione e spero che serva a cambiare le cose, se non per me a questo punto almeno per gli altri». La sua è una storia ingarbugliata e che assomiglia a quella di molte persone colpite dal coronavirus in Piemonte e in provincia. È dura persino seguire con precisione tutte le tappe.
Tutto è iniziato a fine febbraio, dopo una cena giovedì 20 in una pizzeria di Alessandria, a tavola con un amico che si sarebbe poi rivelato il primo caso conclamato di Covid su territorio e che, purtroppo, non è riuscito a sconfiggere il virus.
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