Panorama ha esaminato i giustificativi dei 50 milioni di rimborsi chiesti dai grillini. Scoprendo un uso smodato di diarie, vitto, affitti e trasporti
Il grande bluff della morigeratezza grillina è stato svelato. Nell’ultima settimana, giornali e tv hanno messo in dubbio le decantate restituzioni dei Cinque stelle di una parte dello stipendio. Avete presente quei mitologici versamenti al fondo per le piccole e medie imprese italiane? Bene, al conto finale manca un milione e mezzo. Una decina di parlamentari avrebbe effettuato falsi versamenti con l’espediente più bambinesco: annullare il bonifico entro 24 ore, per intascare la ventilata resa. È seguito l’imbarazzato mea culpa e l’autosospensione di qualche interessato.
Insomma, è scoppiata la rimborsopoli grillina. Ma in realtà, come verificato da Panorama, il problema non riguarderebbe solo un manipolo di furbetti. È tutto il sistema che vacilla, sotto i colpi di rendiconti spericolati e improbabili. Usando un’altra semplificazione giornalistica: è la spesopoli il vero baco. Perfino ad agosto, quando l’attività parlamentare è quasi nulla.
Premessa fondamentale. L’11 agosto 2011 nel «Comunicato politico numero quarantacinque», pubblicato sul suo blog, Beppe Grilloratifica: «Ogni eletto percepirà un massimo di 3.000 euro di stipendio, il resto dovrà versarlo al Tesoro, e rinunciare a ogni benefit parlamentare». Ossia: alla diaria (3.503 euro al mese), ai rimborsi per l’esercizio del mandato (3.690 euro), alle spese per andare dall’aeroporto al Parlamento (1.107 euro), a quelle telefoniche (500 euro), oltre che a trasporti illimitati e gratuiti.
Il totale è 8.800 euro al mese: di questi, solo 2 mila euro deve essere giustificato da scontrini o ricevute. Per il resto, quasi 7 mila euro, non serve nessun giustificativo. Criterio che non ha eguali in nessuna azienda o amministrazione pubblica. Una manna, per gli eletti di tutti gli schieramenti. Grillini compresi: che però, a differenza dei vituperati colleghi, hanno fatto voto di francescanesimo politico. Intendimento che permette al Movimento di professarsi agli antipodi dalla banda di manigoldi che, a suo giudizio, siederebbe a Montecitorio e a Palazzo Madama.
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