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venerdì 4 gennaio 2019

Manovra: nel testo finale più tasse, meno investimenti e rischio crescita

Il ministro dell'Economia Giovanni Tria (Ansa)
L'impianto della manovra su cui si sono accese le risse di questi giorni alla Camera è molto diverso da quello approvato in prima lettura a Montecitorio solo 22 giorni fa. Le modifiche decise dal governo e ratificate nell’esame sprint al Senato non si sono limitate a cambiare il peso complessivo della legge di bilancio. Ma ne hanno modificato gli equilibri interni, a partire dai rapporti fra spesa corrente e investimenti e fra misure espansive e recessive.
In sintesi, le novità si traducono in tre cifre chiaveun valore della manovra alleggerito ai 31 miliardi indicati dal ministro dell’Economia Tria, 7,2 miliardi di deficit nominale in meno rispetto alla versione del balcone e un effetto stimato sulla crescita ridotto a quattro decimali di Pil dai sei decimali dei primi due programmi inviati a Bruxelles. Nel frattempo, la congiuntura raffreddata ha tagliato anche i calcoli sulla crescita tendenziale, cioè quella che il Paese raggiungerebbe senza le nuove misure. Il compito delle regole approvate definitivamente è quindi di far accelerare l’economia italiana nel 2019 dal +0,6% tendenziale al +1% fissato come nuovo obiettivo dal governo, e non dal +0,9% al +1,5% scritto nelle vecchie e contestate tabelle del Mef.
Dietro a questi numeri macro si nascondono gli effetti concreti dell’architettura ripensata della manovra. E le conseguenti nuove incognite da affrontare a Bruxelles e sui mercati a partire da gennaio. L’incrocio fra gli 1,2 miliardi di maggiori entrate prodotte dai correttivi dell’emendamento europeo (nuove tasse sui giochi, web tax, tagli a crediti d’imposta e il contestato e già parzialmente rinnegato raddoppio dell’Ires sul non profit), la crescita di base più modesta e l’effetto espansivo più contenuto produce prima di tutto l’aumento di pressione fiscale dal 42% al 42,4% illustrato dal presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio nell’audizione di giovedì a Montecitorio. E la strada scelta per riportare il deficit nominale previsto al 2% riduce di 4,6 miliardi i fondi appostati per l’avvio di reddito di cittadinanza e quota 100, e sposta quote importanti di investimenti dal 2019 agli anni successivi. Quando però sono coperti dalle maxi-clausole Iva che i leader di maggioranza hanno già detto di voler cancellare. Da qui le incognite aggiuntive.
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