Pochi giorni orsono, un’intervista rilasciata da un premio Nobel – Luc Montagnier – è andata in onda su un telegiornale nazionale. In questa intervista, si rilanciava l’idea già apparsa a febbraio della traccia nel genoma del nuovo coronavirus di sequenze genetiche derivate dal virus di Hiv. Questa idea rilanciava due delle teorie favorite dai complottisti: che il virus fosse in realtà prodotto di ingegnerizzazione dell’uomo, e che si stessero facendo esperimenti pericolosi e inutili con virus mortali, sfuggiti poi al controllo. Ora io non mi lancerò nel triste riepilogo delle numerose sciocchezze che un premio Nobel come Montagnier ha sostenuto da un po’ di tempo a questa parte, né delle motivazioni per cui lo fa; seguirò in questo il consiglio di chi ha espresso la sua pena per un anziano signore, che sempre più spesso presenta come fatti accertati ipotesi senza alcun fondamento. Mi interessa però rassicurare il lettore circa l’insussistenza delle cose adombrate da Montagnier e delle cosiddette “prove” che avrebbe prodotto in supporto all’idea che il virus sia un prodotto artificiale.
Cominciamo con il primo dei documenti che ha citato, vale a dire un manoscritto di alcuni ricercatori indiani, che ha avuto una brevissima apparizione in Internet prima di sparire, ritirato dagli stessi autori. Montagnier ha dato a intendere che ci fosse qualcosa di losco, ma in realtà il manoscritto è stato pubblicamente demolito, prima di essere ritirato, in maniera assolutamente trasparente. Fra le tante pecche che ne hanno causato l’eliminazione, qui basterà mettere in evidenza quella dimostrata dal prof. Burgio: le parti del genoma del virus che sarebbero state, secondo gli autori, identiche a quelle di Hiv (e dunque la prova della manipolazione, perché in natura l’ibrido non può prodursi), sono in realtà dei brevissimi tratti del genoma del coronavirus, che questo condivide non solo con Hiv, ma con centinaia di altre specie, da ognuno dei regni del vivente.
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